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Questo colle solitario mi fu sempre caro,
e questa siepe, che gran parte
dell’estremo orizzonte impedisce di vedere.
Ma sedendo e mirando, infiniti
spazi al di là di quella, e silenzi
sovrumani, e una quiete assoluta
io mi immagino; in cui per poco
il cuore non si smarrisce. E non appena odo stormire
il vento tra queste piante, paragono
quel silenzio infinito alla voce del vento:
e nasce nella mia mente il pensiero dell’eterno,
e il ricordo delle epoche passate, del presente
ancora in corso, e il suono delle sue imprese.

Così in questa meditazione
sull’infinito il mio pensiero si smarrisce:
ed è dolce perdersi in questo mare.

Risultato immagini per monte di giacomo leopardi l'infinito

L’infinito è una delle poesie più celebri di Giacomo Leopardi, che la scrive negli anni della sua prima giovinezza a Recanati, sua città natale. Le stesure definitive risalgono agli anni 1818-1819. La lirica è composta da 15 endecasillabi sciolti, e appartiene alla serie di scritti pubblicati nel 1826 con il titolo Idilli. Il termine greco “idillio”, solitamente riferito a componimenti poetici incentrati sulla descrizione di scene agresti, viene ridefinito da Leopardi: nei suoi idilli, infatti, sono assenti le tematiche bucoliche proprie delle opere di poeti greci (Teocrito e altri), o latini (Virgilio, Calpurnio Siculo e altri). Nell’idillio leopardiano, infatti, l’elemento del paesaggio naturale (spesso privo dei connotati del paesaggio ideale antico) è strettamente legato all’espressione degli stati d’animo dell’uomo, visti dal poeta come occasione per una riflessione sul trascorrere tempo, sulla storia, e sul triste destino degli uomini. Il manoscritto originale è conservato presso la biblioteca nazionale di Napoli, mentre un secondo manoscritto è conservato nel Museo dei manoscritti del comune di Visso in provincia di Macerata. Nel mese di ottobre 2016, in seguito al terremoto che ha colpito la zona, questi manoscritti sono stati provvisoriamente trasferiti a Bologna. Ricordiamo che nel 2019, per celebrare i 200 anni de L’infinito, 22 artisti della canzone italiana hanno interpretato questa poesia. Ricordiamo tra gli altri: Laura Pausini, Zucchero, Giorgia, Gino Paoli, Claudio Baglioni, Ligabue, Paolo Conte, Renato Zero, Venditti, Gianni Morandi, Patty Pravo, Guccini, De Gregori, Adriano Celentano, Mina. Descrizione L’infinito si divide in due parti: nella prima, Leopardi esprime concetti a lui usuali, mentre nella seconda usa l’immaginazione e si perde nell’infinito. La poesia presenta, inoltre, un’abile mescolanza di registri linguistici che spazia da quello letterario (“Ermo colle”) a quello semplice e colloquiale (“Sempre caro”). L’ermo colle non è un luogo immaginario: è, infatti, il monte Tabor, più conosciuto come “il colle dell’Infinito”; si tratta del colle di Recanati che si affaccia verso sud, e da cui, nelle giornate con poca foschia, si riescono a vedere molto bene le cime innevate dei monti Sibillini. La siepe che impedisce la vista dell’orizzonte è l’ostacolo percettivo che permette la fuga della mente dall’esperienza immediata dei sensi. “Di là da quella”, infatti, si celano spazi senza limite, silenzi profondi e pace assoluta, portatrice di sgomento e indizio di quell’eternità a cui il poeta viene condotto dall’improvviso stormire del vento tra le fronde, che lo fa naufragare e lo porta a diventare tutt’uno con l’universo. Così, tra la minaccia del silenzio (“sovrumani / silenzi, e profondissima quiete”) e la presenza sonora della natura (“E come il vento / odo stormir tra queste piante”), il pensiero afferra l’inafferrabilità e l’universalità dell’infinito, superando il momento contingente. Col termine “infinito”, il poeta si riferisce al futuro, mentre il muro è ciò che divide il presente dal futuro, e lascia solo immaginare quale possa essere il nostro fato. Ogni uomo può tentare di cogliere l’infinito, che procura un profondo benessere (“sempre caro” riferito all’ermo colle) ma anche un senso di pauroso sgomento. Analisi L’infinito è composto da endecasillabi sciolti, con il ricorso continuo all’enjambement, con cui Leopardi ottiene significativi effetti di straniamento (i.e. viene alterata la percezione della realtà del lettore), collocando le parole chiave della poesia, tutte attinenti alla sfera semantica dell’infinito filosofico, a ridosso della pausa finale del verso. L’intero componimento, infatti, si articola in quattro lunghi periodi, di cui solo il primo e l’ultimo terminano effettivamente in fin di verso. Ricordiamo che l’enjambement è una figura retorica della sintassi che consiste in un’alterazione tra l’unità di verso e l’unità sintattica; in altre parole, si tratta del prolungamento del periodo logico oltre la pausa ritmica, quando due parole della stessa frase che dovrebbero stare saldamente unite, vengono spezzate tra la fine di un verso e l’inizio di quello successivo. Ad esempio, nei versi 4-6: “Ma sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi, e profondissima quïete”. Sul piano sintattico, L’infinito è un testo molto semplice, basato essenzialmente sulla paratassi. Ricordiamo che la paratassi (detta anche coordinazione) è la relazione per cui due o più proposizioni di un periodo sono collegate tra loro, pur restando autonome dal punto di vista semantico e sintattico. Esempio: “Ormai è tardi e tutti i negozi sono chiusi”. L’impiego dei pronomi dimostrativi “questo” o “quello”, che hanno tipicamente una connotazione locale, sottolinea un cammino di immedesimazione che parte dall’ego del poeta (“quest’ermo colle e questa siepe”, “queste piante”) e che, all fine, lo porta a fondersi con l’assoluto (“questa immensità”, “questo mare”), in un processo che dimostra la presenza, nel poeta, di una una visione panteistica della realtà. Ricordiamo che il panteismo (dal greco πάν (pan) = tutto e θεός (theos) = Dio, vuol dire letteralmente “Dio è Tutto” e “Tutto è Dio”) è una visione del reale per cui ogni cosa è permeata da un Dio immanente, o per cui l’Universo o la natura sono equivalenti a Dio. Questo misticismo fa di Leopardi l’unico poeta italiano che abbia veramente saputo esprimere la dimensione interiore della Sehnsucht (struggimento nostalgico per l’assoluto) propria del romanticismo europeo. Successivamente, ai tempi della lirica A se stesso (1833), il panteismo di Leopardi si trasformerà nella visione che è stata definita “pessimismo cosmico”, e che in realtà sarebbe meglio indicare come negativismo ontologico (i.e. un atteggiamento negativo verso l’essere in quanto tale), che porterà il poeta a superare le visioni romantiche e ad anticipare le tematiche tipiche del Novecento. Ricordiamo, inoltre, che l’impiego dei pronomi dimostrativi che si riscontra ne L’infinito avrà un peso determinante nell’evoluzione dello stile del primo Ungaretti. Nel componimento si ripete due volte lo schema: sensazione, fantasia, sentimento. Nella prima parte vi è una sensazione visiva (sguardo impedito dalla siepe), la fantasia (immaginazione di mondi sterminati e silenziosi), il sentimento (“ove per poco il cor non si spaura”). Nella seconda parte troviamo una sensazione auditiva (vento che stormisce tra le piante), la fantasia (eternità, trascorrere del tempo), il sentimento (“e il naufragar m’è dolce in questo mare”).